“…purificherà la nostra coscienza dalle opere morte..”(Ebr 9:14)
Il Signore e Onnipotente IDDIO, nell’atto della creazione dell’uomo dopo avergli inalato dentro di lui l’alito vitale (Gen 2:7), ha impresso in ciascun essere umano quella che chiamiamo “coscienza”, cioè lo stimolo interiore a conformarci alle regole rivelate e sicure della giustizia di Dio, garanzia della nostra stessa vita nel rapporto che dobbiamo intrattenere con Dio, con gli altri, e con noi stessi. Essa è pure quella che ci avverte, come un campanello di allarme, quando infrangiamo quelle regole della giustizia e che ci accusa (come un fuoco che brucia in noi), facendoci temere le conseguenze negative delle nostre scelte sbagliate. Essa presuppone quindi un criterio oggettivo di giustizia, quello stabilito da Dio per la nostra vita ed il fatto di essere in noi innata. La coscienza, in sé stessa, nella condizione in cui l’uomo oggi si trova, però, non è più una guida sicura delle nostre scelte perché, benché questo sentimento (di giusto e sbagliato), ci sia stato impresso alla creazione, esso è stato distorto dal peccato, il quale ci fa curvare su noi stessi per servire gli apparenti nostri interessi (quello che “ci sembra” giusto, o più convenevole). Per lo stesso principio il peccato tacita e soffoca gradualmente la coscienza portandola ad abituarci a standard di moralità sempre più bassi, che vengono via via giustificati. La coscienza umana, perciò, ha bisogno di essere rigenerata dall’opera di Dio in Gesù Cristo. Essa diventa così un dono della grazia e dell’amore di Dio fatto al peccatore che si ravvede e ripone in Lui la propria fede. La coscienza, così, è stata definita come: “La complessa capacità umana, la quale, utilizzando la propria comprensione della vita morale e della capacità di operare scelte, spinge a vivere in conformità con quei principi che ritiene accettabili e buoni. In una persona moralmente informata e psicologicamente equilibrata, la coscienza serve come guida e controllo della vita, mettendo in grado l’individuo di valutare e di scegliere potenziali direzioni di azione e di pensiero alla luce dei propri valori ed impegni”. Per i CRISTIANI la coscienza non è così la sola guida della vita morale. Essa deve essere INFORMATA dalla Scrittura, NUTRITA dalla grazia, ed ISPIRATA dallo Spirito santo, come pure seguita con amore verso gli altri, perché è vista, come ogni altra cosa, nella prospettiva di Dio, e non da quella di un essere umano ritenuto autonomo. Il cristiano, infatti, afferma: “La mia coscienza è vincolata dalla Parola di Dio”. In questo modo la coscienza serve come agente di valutazione delle proprie azioni, alla luce della propria comprensione della volontà di Dio. Essa è flessibile e fallibile perché è sempre da verificare (non vale in quanto tale). In questo modo la “buona coscienza” in termini cristiani è continuamente aperta a nuove informazioni e conduce le proprie azioni a manifestare amore e compassione per gli altri, come pure rispetto per la propria dignità come creatura di Dio. Sebbene la Bibbia non contenga una teoria pienamente sviluppata della coscienza, il Nuovo Testamento presuppone che questa capacità sia parte integrante della personalità umana. Quando i Farisei, nell’episodio evangelico, vorrebbero lapidare una donna colta in adulterio, Gesù fa loro intendere come non ne avrebbero il diritto, perché anch’essi sarebbero da riprendere in molte altre cose. Gesù fa quindi appello alla loro coscienza: “Quelli allora, udito ciò e convinti dalla coscienza, se ne andarono ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; così Gesù fu lasciato solo con la donna, che stava là in mezzo” (Giov. 8:9). L’apostolo Paolo, poi, parlando dei pagani, afferma: “…questi dimostrano che l’opera della legge è scritta nei loro cuori per la testimonianza che rende la loro coscienza, e perché i loro pensieri si scusano o anche si accusano a vicenda” (Rom. 2:15). Nel caso di quei cristiani che avevano scrupoli nel mangiare la carne sacrificata ad idoli, Paolo dice: “Ma la conoscenza non è in tutti; anzi alcuni, avendo finora consapevolezza dell’idolo, mangiano come di una cosa sacrificata all’idolo; e la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata … Perché se qualcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio di idoli, la coscienza di lui, che è debole, non sarà forse incoraggiata a mangiare le cose sacrificate agli idoli? … Ora, peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo… Mangiate di tutto ciò che si vende al macello senza fare alcuna domanda per motivo di coscienza” (1 Co. 8:7,10,12,25)”.
Un altro esempio. Per un cristiano, essere sottomessi alle autorità non è una questione pragmatica (perché si teme la loro reazione o perché in qualche modo convenga), ma perché è “questione di coscienza”, cioè questione radicata profondamente nella volontà di Dio: “Perciò è necessario essergli sottomessi, non solo per timore dell’ira ma anche per ragione di coscienza” (Rom. 13:15). Il cristiano fa come l’apostolo Paolo “…Per questo io mi sforzo di avere continuamente una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini” (Atti 24:16), perché intende seguire in ogni cosa la verità rivelata di Dio. La coscienza del cristiano è informata dall’opera in lui dello Spirito Santo: “Io dico la verità in Cristo, non mento, perché me lo attesta la mia coscienza nello Spirito Santo” (Rom. 9:1). Certamente, infine, l’allusione che l’apostolo Paolo fa della coscienza potrebbe significare che la coscienza sia una facoltà dell’anima che pronuncia il verdetto di Dio sulla moralità di un atto o di una decisione. Quando però Paolo dice di non essere necessariamente giustificato, benché egli sia consapevole di colpa alcuna (1 Co. 4:4), egli afferma essere la coscienza relativa al giudizio di Dio.
La Coscienza insieme allo Spirito Santo, rendono il credente sicuro nel suo impegno verso il Signore e la sua vita consacrata e separata per appartenere a Cristo soltanto.